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Channel: L'ORDINE DI MELKIZEDEK Il Blog di Mike Plato - personaggi-biblici

Giuseppe, il Safnat Paneach

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Giuseppe, figura biblica scarsamente compresa, sia in senso storico che simbolico, rappresenta invece una delle figure più maestose della stirpe animica di Israel, la razza dei Giusti e dei Viventi. Il suo collegamento con gli Hiksos.

 

l cuore è una luce nella profondità del pozzo della natura, come la luce di Giuseppe nel pozzo in cui era stato gettato(Najm Kobra, Risalat al Sayr)

 

 

Di Mike Plato

 

 

Grande Giusto fu il Giuseppe biblico, anima Vera e Vivente, come dimostra una delle traduzioni più accreditate del misterioso nome che il Faraone gli assegna: Safnat-Paneach - Dio dice: Egli è Vivente (Genesi 41:45). La storia di Giuseppe è nota, e comunque non è questa la sede per narrarla. Basterebbe leggere Genesi dal cap.37 al 50. In questa sede inquadreremo Giuseppe da un punto di vista storico, iniziatico e simbolico.

 

 

Gli Hiksos odiati dal mondo

Giuseppe dice ai suoi fratelli: Vado a informare il Faraone e a dirgli: i miei fratelli e la famiglia di mio padre sono venuti da me. Questi uomini sono pastori di greggi, si occupano di bestiame. Quando il Faraone vi domanderà: Qual è la vostra occupazione? Voi risponderete: Gente dedita al bestiame, dalla nostra fanciullezza fino ad ora, noi e i nostri padri. Tutti i pastori di greggi sono un abominio per gli egizi (Genesi 46:32). Questo è un passo chiave per introdurci nei segreti storici e simbolici del personaggio. Il primo e più profondo è certamente spirituale. Il Cristo è il Buon Pastore (Giovanni 10:14), l’Agatodaimon (buon Dio) degli gnostici. Tutti i Figli del Logos sono spiriti buoni, portatori di luce vera, difensori di deboli e oppressi, occultamente pastori di bestiame, ovvero di uomini. Essi sono definiti con tipico linguaggio iniziatico: sovrintendenti al bestiame (Genesi 47:6). Persino in un testo egizio della X dinastia, l’Insegnamento per Merikara, è detto: ben curati sono gli uomini, il bestiame di Dio. E’ il destino e il ruolo dei Giusti in questo piano difendere il bestiame di Dio. E’ ovvio che l’Egitto, simbolo tradizionale di questo mondo materiale, non ama gli esseri cristici (Israel spirituale), inviati qui per riportare al mondo la Legge del Dio Altissimo, legge che il mondo non conosce perchè totalmente controllato e embargato dalle attività visibili e invisibili degli Arconti. Vi è tuttavia un secondo livello Ankenaten image012.jpgche vede Giuseppe come un sovrano probabilmente non ebreo, perchè non ebrea la sua stirpe genetica, a partire da Abramo che era un cananeo (Genesi 11:28). Il testo biblico pone l’enfasi su quelli di Israel come Pastori di greggi e Sovrintendenti al bestiame, ma è documentato storicamente che vi fosse una stirpe, di cui ancora poco è noto, a godere di questa qualifica: gli Hiksos, i Re Pastori stranieri che regnarono nellÕEgitto del XVII secolo a.C.In Genesi 46:6-7, è detto che Giacobbe e i suoi, inizialmente, fossero accolti con benevolenza nel regno del Faraone e si stabilirono nel paese di Gosen, paese che divenne, all’inizio del XIII secolo il territorio di Ramses, la zona orientale del delta del Nilo. E’ probabile che il quadro storico della migrazione di Israel in Egitto sia il regno di uno degli ultimi Re-Pastori del XVII secolo a.C., un faraone di stirpe Hiksos che governava il Nord Egitto: un Faraone bit (ape). Ciò spiegherebbe l’accesso al potere di Giuseppe, nominato Visir e persino Sommo Sacerdote di Heliopoli, appartenente ad un’etnia molto vicina a quella degli Hiksos principi del deserto, se non persino lui stesso un Hiksos. Particolare rilevante, sembra che le parole del Faraone a Giuseppe tradiscano un culto monoteista, tipico di un Hiksos: Potremmo trovare un uomo come questo, in cui sia lo spirito di Dio?Dal momento che Elohim ti ha manifestato tutto questo (Genesi 41:38-39). E’ probabile che i leader regali-sacerdotali degli ebrei non fossero Patriarchi ebrei, ma Patriarchi Hiksos. Lo stesso Mosè, noto ai posteri proprio come principe del deserto, doveva essere un membro della stirpe Hiksos, e dato che Amenophi IV (Akhenaton) era di sangue Hiksos-Mitanni da parte della madre Tije, è possibile supporre che Mosè e Akhenaton fossero la stessa persona e il medesimo principe del deserto che manifestò il culto monoteista  Presumibilmente, come afferma lo studioso egiziano Ahmed Osman, Giuseppe-Jusuf divenne Visir del Faraone con il nome di Yusuf Yuya (cfr. HERA 28, pag. 28), ministro principale del faraone Tuthmosi IV (1413-1405) della XVIII dinastia e del figlio Amenothep III, padre di Akhenaton. Yuya aveva anche il titolo di “Profeta di Min” e “Sovrintendente ai buoi (fedeli) di Min”. La sua tomba fu scoperta nel 1905 insieme a quella della moglie Tuya (l’Asenath biblica) e nel suo papiro funerario si parla di lui come di “colui a cui il buon Dio ha affidato l’intera terra”, nonchè “Santo Padre Signore delle Due Terre” (It Ntr n nb tawi). Egli era la massima autorità sacerdotale d’Egitto, essendo il Capo degli Astronomi (eg. WR MW) di Heliopoli, e ciò spiegherebbe il titolo di Santo Padre delle due terre.

I Figli della Scienza

Akhenaton, erede di sangue di Yusuf, era un Faraone incline al misticismo e alla Tradizione per l’esempio e gli insegnamenti della madre di stirpe Hiksos. Si potrebbe ipotizzare che Giuseppe-Yuja avesse preparato la strada al nipote Mosè-Akhenaton? Non abbiamo prove documentarie, ma qualcosa è già emerso a supporto di questa tesi (1), anche perchè la storia dell’Egitto non documenta l’insediamento di un clan ebraico guidato da Giacobbe nè la presenza di un Visir ebreo come Jusuf. Di conseguenza, o ammettiamo che la storia di Giuseppe sia interamente una fabbricazione mitologica utile per veicolare verità spirituali nascoste, oppure che questi personaggi avessero altri nomi e appartenessero ad un’etnia semitica ma non propriamente ebraica. Ritengo che il clero ebraico oper˜ per portare dalla loro parte, ebraicizzandoli, quelli della stirpe di Abramo.In Genesi 15:13 e 17:6, il Signore rivela ad Abramo: “Sappi che i tuoi discendenti saranno stranieri in un paese non loro. Da te nasceranno dei Re”. Che Mosè e i suoi predecessori fossero di stirpe ariano-fenicia (cioè cananei), si evince dal fatto che la divinità suprema El Elyion, citata più volte da Mosè nel Pentateuco biblico, proveniva dal culto fenicio del supremo El, come si evince dalle preziose tavole di Ugarit che testimoniano dei culti cananei. E da Canaan, la vecchia terra dei Fenici, proveniva Giacobbe (Genesi 37:1), come d’altronde Gesù il galileo. Gesù essendo l’Iktios (greco “pesce”), era un Hyksos, quindi un ariano cananeo. Secondo i documenti storici, gli Hyksos provenivano dalla terra di Phoen, di cui è ancora ignota l’ubicazione, per cui il loro nome era “Phoen-Hiksos” ossia Fenici. Gli egizi, che li accolsero bene all’inizio, per poi detestarli successivamente perchè manifestanti apertamente una religione monoteistica, li tramandarono come “Hekau Koshwet”, una dizione misteriosissima per gli storici. Essa è ufficialmente tradotta come “Principi del Deserto” o “Reggenti Stranieri”. Manetone li cita come “pastori” e “fratelli”, qualifiche tipicamente iniziatiche. Un ulteriore livello interpretativo attinente al termine Hyksos è strettamente dipendente dal fatto che nella Bibbia gli Israeliti erano considerati servi in Egitto. La parola egizia per servo è “hyk”, che tuttavia presenta un duplice significato, poichè se pronunciata aspirata significa “servo” , ma se pronunciata con suono lungo e aperto significa esattamente “Re” o “Re-Pastore”, quindi “Re-Sacerdote”, che identifica i Faraoni ed in generale i “Serpenti-Piumati”. Lo stesso scettro pastorale dei Faraoni era chiamato “Heka” da cui “Hik/pastore2 e “Hikau/principe”. Quindi Gli Hyksos-Israeliti, arrivati in Egitto con Giacobbe, non erano affatto Servi in Egitto, ma figure di eccezionale spessore e potere: “Servi di Dio” e “Re-Sacerdoti in Egitto”. La fedele trascrizione di questo fonema è: “Hikw Kh-w-nsw-t”. Schwaller de Lubicz, ne Il Tempio dell’Uomo, esaminando il bassorilievo di Medinet-Habu della XX dinastia, ove si vede il Faraone portato su un palanchino e accompagnato da strani personaggi, afferma che Khwnswt significhi: “conosciuti dal Re-Faraone”, i “Seguaci di Sua Maestà”, i “Figli Reali”, i “Grandi Nobili”. Ma il dubbio che lo tormenta è legittimo. Egli afferma: “Ci si è persi in mille congetture a proposito del titolo “conosciuti dal Re”, che risale all’ Antico Impero. Se veramente questi personaggi non sono, secondo la tradizione classica, che dei membri della Corte, ci rimane difficile comprendere perchè abbiano la precedenza sui prìncipi di sangue reale, che vengono citati solo per terzi. Di fatto il loro titolo che può anche significare “coloro dalla Conoscenza Regale”, li colloca in prima fila. Potremmo tradurre questi epiteti con maggiore esattezza con “gli uomini che conoscono la via regale (il cammino diretto da Horus,l’alchimia, n.d.a.) e tradurre i “figli regali” con cio che tradizionalmente significa “i figli della scienza”, vale a dire coloro che conoscono e possiedono la scienza del segreto, il che li colloca subito dopo i precedenti. Comunque il titolo “Khow-n-swnt” è attribuito, nei Testi delle Piramidi, ai Figli di Horus.

Potenti di magia

La testimonianza e il sapere di Schwaller sono preziosissimi, poichè da quanto riportato si evince una sola cosa: gli Hiksos erano i probabili eredi dei primordiali Shemsu-Hor, i Seguaci o Figli di Horus. Da parte mia, propongo una traduzione alternativa. “Heka”, nell’Egitto iniziatico, indicava magia e poteri terapeutici, e “koswhet” è traducibile come “potenti”. L’Heka, come detto, era il pastorale, antico simbolo di poteri magici legati al simbolismo della spina dorsale, come mostra la sfida magica che ha per protagonista la verga di Aronne mutata in serpente. I sovrani Hiksos erano potenti Magi, Re-Sacerdoti sovrumani al modo di Melkizedeq, poichè avevano il potere del “Verbo” con cui potevano creare, modificare e distruggere ogni cosa. Giuseppe-Yuja doveva essere uno di questi. Nel testo magico di San Cipriano, La Clavicola di Salomone, Giuseppe è citato come un anello fondamentale nella trasmissione delle chiavi della magia post-diluviana, magia vera legata al principio della sapienza: “La Magia bianca fu trasmessa da Noè in tutta la Caldea ad Abramo, insegnata da Giuseppe ai sacerdoti egizi, i1wnlv.jpgordinata da Mosè e praticata da Salomone, celata sotto i simboli nell’Antico Testamento, rivelata da Gesù a Giovanni (da Cristo al Battista) e rivelata nell”Apocalisse. Non a caso viene acclamato dalla gente con l’espressione intradotta “Abrech” (Genesi 41:43). Secondo gli ebrei e Origene, Abrech significa “piegate le ginocchia” (dal verbo “barach”), ma di certo il termine non è ebraico. Ipotizzo fosse un titolo molto elevato da un punto di vista iniziatico, che nel corso del tempo venne modificato dagli gnostici come “Abraxas” (serpente-piumato), colui che lega in sè cielo e terra. Questo termine, da molti esegeti massonici, viene interpretato come “Re senza macchia” (Jules Boucher, La Simbologia Massonica) ma noi riteniamo che indichi l’Uomo Perfetto. Quindi Mosè, l’autore di Genesi, conosceva il termine appreso in Egitto, a tal punto che egli stesso era un “Abrech”, un Maestro di Giustizia.Nell’ebraico e nell’arabo “barakah” (benedizione) è l’influsso spirituale (soffio di intelligenza e saggezza spirituale). In Genesi 41:41 non a caso il Faraone afferma che è impossibile trovare uno come Giuseppe in cui sia lo Spirito di Dio. Abraxas-Abrech potrebbe anche derivare dai termini ebraici “ah-berakah daberah”  (pronunciare la benedizione) e “abreg ad habra - scaglia il fulmine fino a uccidere!”. Noi riteniamo, tra le tante ipotesi valide, che la parola di potenza “abracadabra” provenga proprio dal termine ebraico “abrech ad habra”. Ebbene, questa formula, nei Vangeli, è recitata da due figli del fulmine (boanerghes) Giovanni e Giacomo, allorchè in Luca 9:54 chiedono il permesso al loro maestro di pronunciare la parola di potenza: “Maestro, vuoi che diciamo: scenda un fulmine dal cielo e li consumi!Ó?”. Questa invocazione di magica potenza è menzionata anche in 2 Re 1:10, pronunciata da Elia: “Se sono uomo di Dio, scenda il fulmine dal cielo e divori te e i tuoi cinquanta”. In inglese, attraverso il verbo “break”, suonerebbe come “spezzati!”. E’ molto probabile, quindi, che gli Hiksos-Israeliti portassero o quantomeno tentassero di rivitalizzare in Egitto la tradizione del Melkisedeq - la Tradizione del Re Solare custodita dai mitici Shemsu-Hor - e del vero Re al modo di Melkisedeq, ma senza riuscirvi, come proverebbero le vicende persecutorie di Akhenaton anch’egli un “potente di magia”. Con la dipartita degli Hiksos dallÕEgitto con i loro fratelli semiti ebrei, la Tradizione della Luce abbandonava per sempre l’Egitto. Iniziava una nuova fase con l’ingresso nell'era dell’Ariete.

Modello di purezza e sapienza divina

Giuseppe fu un Giusto molto venerato dalla posterità ebraica. In primo luogo denotava un talento spirituale fuori dal comune per l’interpretazione dei sogni simbolici propri e altrui. Solo un grande ed ispirato Maestro gode di questo dono, che gli consente di leggere con veste daio mille colori.jpgsaggezza i messaggi simbolici inviati da Dio. La veste di lino bianco offertagli dal Faraone testimonia della sua statura spirituale, perchè solo i Giusti la indossano: Le hanno dato una veste di lino puro splendente. La veste di lino sono le opere giuste dei santi (Apocalisse 19:8). Gli orfici, i bacchici, i pitagorici, gli stoici, tutti utilizzavano la sacra veste di lino bianco nell’officiare i loro riti. A questa regola non sfuggivano soprattutto né i sacerdoti di Heliopoli, nè tantomeno i loro legittimi eredi, qli Esseni di Qumran. Egli è onorato per essere stato un campione ed esempio di continenza sessuale e di resistenza alla tentazione. Nella narrazione biblica, l’episodio che vede Giuseppe rifiutare ostinatamente l’invito della moglie del Faraone di unirsi a lei, in senso interiore, è il rifiuto dell’iniziato ad assecondare le tendenze dell’anima carnale, la Nepesh o Lilith interiore. Il Corano descrive tale inclinazione nel cap.12:53: “In verità, l’anima è propensa al male, a meno che il mio Signore (n.d.a. la forza del superconscio che vigila sulle tendenze infere del subconscio) non la preservi dal peccato”. E Sapienza 10:13 fa intendere che il Signore e la Sapienza siano una cosa sola: “La Sapienza non abbandonà il giusto venduto (n.d.a. Giuseppe), ma lo preservà dal peccato finchè gli procurà potere sui suoi avversari. Égli diede una gloria eterna” (Sapienza 10:13). Giuseppe era il simbolo della rinuncia a sè stessi, del sacrificio di sè, della propria volontà e desideri, per amor di Dio, ideale che gli esseni perseguivano indefessamente e che fu sublimato da Gesù, forse per questo idealmente figlio di Giuseppe. Ma più di tutto, egli era il Safnat Paneach (Genesi 41:45). Se queata definizione fosse ebraica, si tratterebbe di un’espressione iniziatica segreta. In ebraico sarebbe composta da “zafun-nascosto” e “paneach-svelare”. Se vocalizziamo l’ebraico “sfnt” col plurale femminile “safnoth” otteniamo: “colui che svela cose nascoste” o “che scopre il senso nascosto delle cose”. L’espressione sarebbe appropriata ad un potente ed intuitivo interprete di sogni simbolici quale era Giuseppe. Se fosse egizia, sarebbe invece un bel rebus se non fosse per Yves Naud (2) che ci documenta una rivelazione del 1939 di Ra Mak Hotep, adepto dei misteri osiridei, secondo cui il settimo e ultimo grado segreto di quei misteri era il grado di profeta o “safnat paneach” che significherebbe: “colui che conosce tutti i segreti”. Ciò in linea con quanto riferito dal de Lubicz sugli Hekaw: “Coloro della conoscenza regale”. In egizio, “colui che conosce tutte le cose” dovrebbe essere reso con “pa s nty m-f na ih(t)”. In tal senso, la qabala ci dice che “Yusuf” sia attinente col greco “sophia” (sapienza). E non è finita qui, perchè Yusuf è colui dalla veste dei mille colori (Genesi 37:3), un potente simbolo del corpo glorioso.

Il Cristo dell’Antico Testamento

Gesù è prefigurato da molti personaggi dell’Antico Testamento, compreso Mosè, ma da nessuno così potentemente come da Giuseppe. Non si contano i punti di contatto e le similitudini fra i due personaggi. Giuseppe è venduto in Egitto; Gesù è costretto ad esiliarsi in Egitto. Giuseppe e Gesù sono parimenti traditi dalla propria gente. Nel carcere, Giuseppe è un innocente fra due criminali, ai quali predice la vita ad uno e la joseph interprets the dreams of pharoh's servants in prison.jpgmorte all’altro interpretandone i sogni; Gesù in croce è tra due ladroni, predice la salvezza all’uno e la morte all’altro, sulle identiche apparenze. Giuseppe chiede a quello che sarà salvato di ricordarsi di lui quando sarà giunto alla sua gloria, e quello che Gesù salva gli chiede di ricordarsi di lui quando sarà nel suo regno. In Genesi 42:21 i fratelli ricordano l’angoscia di Giuseppe quando li supplicava; parimenti in Matteo 26:36, Gesè è con i suoi fratelli apostoli, angosciato e supplicante loro di vegliare con lui, ma essi non lo ascoltano come i fratelli non avevano ascoltato Giuseppe, abbandonandolo nell’ora più buia. Il tradimento dei fratelli di Giuseppe è prefigurazione delle parole di Gesù ai suoi fratelli: “verrà l’ora in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo” (Giovanni 16:32). Giuseppe organizza un banchetto con i suoi fratelli (Genesi 42:33-34); Gesù organizza una cena mistica con i suoi fratelli apostoli. Giuseppe si commuove prima di andare a tavola con i fratelli (Genesi 44:30); Gesù si commuove profondamente nell’ultima cena (Giovanni 13:21). Giuseppe predispone le cose in modo tale che Beniamino venga ritenuto traditore per il furto di una coppa e Giuda, suo fratello, intercede per il minore; Gesù predispone le cose affinchè Giuda, il suo vero beniamino al di fuori della Maddalena, lo tradisca e porti tutto a compimento. Giuseppe era il più piccolo dei suoi e divenne il più grande; Gesù disse che il più piccolo tra i fratelli è il più grande (Luca 22:26). Giuseppe è la prefigurazione del Salvatore universale: “Dio mi ha mandato qui (n.d.a. Egitto, questo mondo) prima di voi per assicurarvi la sopravvivenza e per salvare in voi la vita di molta gente” (Genesi 45:7); il Cristo è l’agnello che toglie i peccati dal mondo, inviato qui come primogenito alle origini di questo Eone e prima dei suoi fratelli Nephilim. Giuseppe afferma di essere stato eletto da Dio governatore di tutto l’Egitto, nonchè Visir (Genesi 45:8); il Cristo è il legittimo Re del Mondo e di questo mondo, il vero Vicerè di tutti i mondi, essendo il coreggente dopo l’Altissimo. Giuseppe promette ai fratelli che mangeranno, grazie a lui, i migliori prodotti della terra (Genesi 45:18). Giuseppe monta sul carro e la gente gli grida: “Abrech”, che ad un certo livello significa “benedetto” (Genesi 41:43); Gesù monta sull’asina, entra in Gerusalemme e la gente lo acclama con la formula “Benedetto colui che viene nel nome del Signore” (Matteo 21:9). Giacobbe, il padre, definisce Giuseppe: “Germoglio di ceppo fecondo” (Genesi 49:22) ; i profeti chiamano il Cristo che viene “Germoglio” (Isaia 11:1, Zaccaria 6:12). Il nome di Gesù è contenuto nel nome Giuseppe (Yusuph) che per altro è anche il nome del padre di Gesù. E’ come se la Bibbia volesse suggerire: per capire meglio Gesù, dovete comprendere Giuseppe.

 

Libri Consigliati

Ahmed Osman, I Faraoni Ebrei dell’Antico Egitto, Mondo Ignoto

David Rohl, Il Testamento Perduto, Newton & Compton

Laurence Gardner, Le Misteriose Origini dei Re del Graal, Newton & Compton

Renee Schwaller de Lubicz, Il Tempio dell’Uomo, Mediterranee

 


Caino. Una riabilitazione

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Caino è normalmente visto come il prototipo del malvagio assassino ma una analisi attenta della sua figura associata a una lettura corretta dell’originale testo ebraico ci mostra un Caino quale archetipo del Figlio della Luce e della potenza regale spirituale nell’Uomo.

“Io mi elevo con i Figli di Caino, bruciato dal fuoco dell’amore”
(da In a God’s  country - U2)

Caino è da sempre considerato il prototipo dell’assassino, del fratricida, del cinico della furia omicida. Alla lettera, Caino appare certamente come il prototipo degli assassini, un destino ingiusto condiviso con un’altra figura interpretata in modo assolutamente negativo, Giuda,  in virtù dell’inveterata abitudine di guardare solo alla lettera i testi sacri, e dell'ignoranza del principio dell'inversione assiologica, che trova nell'Appeso dei Tarocchi il suo fondamento archetipale (vedi articolo sul blog in simbolismo). Per entrambi si è trattato di rendere possibile il compimento del loro destino, riproposizione della sottomissione e fedeltà di Abramo che, messo alla prova dal Signore, era sul punto di sacrificare il figlio Isacco, onde constatare fino a che punto lo avrebbe seguito. Un’analoga prova di obbedienza all’Io Sono è descritta nella celebre Sura 18 del Corano, laddove il misterioso maestro El Khidr accetta di istruire Mosè a patto che il patriarca dimostri sottomissione e non ne critichi le scelte apparentemente illogiche e ingiuste. Scrisse Filone nel Commentario Allegorico alla Bibbia: Abele è la santità contrapposta alla materialità di Caino, l’anima dell’uomo malvagio, l’idea stessa del peccato, il senza-Dio, il male incarnato, il folle. Ancor oggi i Massoni dicono: “Coloro che sono fuori dall’Istituzione sono soltanto nella condizione di non saperlo e per questo seguono spietatamente la “Legge di Caino”. Quelli che invece stanno dentro si sono riconosciuti massoni essendosi ritrovati nel contesto della Loggia Tempio”. Con tutta franchezza, lo stesso testo biblico non è tenero con Caino. Basti pensare ad 1 Giovanni 3:12: “…Non come Caino, che era del maligno e uccise il fratello. E per qual motivo lo uccise? Perche le sue opere erano malvage, mentre quelle di suo fratello eran giuste”. Non è facile intuire che la figura simbolica di Caino rappresenti al contrario l’evoluzione e l’elevazione spirituale dell’Iniziato, se non l’iniziato stesso.

I fratelli spirituali: uomo e Dio

inseparabili-gemini.jpgIl senso che Mosè intese dare al mito di Caino era prettamente legato al simbolismo iniziatico, e si inserisce nella più ampia letteratura dedicata al mito dei “fratelli gemelli”. In Grecia, la doppia natura umana-divina nell’Uomo era codificata nel mito dei Dioscuri: Castore mortale e Pollùce immortale, inseparabili l’uno dall’altro. Castore muore in combattimento, il corrispettivo della “campagna” di Caino, e Pollùce ascende al cielo, ma chiede a Zeus di ridare la vita al fratello, rinunciando a metà della sua immortalità; cosicché i due gemelli si alternano un giorno nell’Olimpo e un giorno nell’Averno, mentre in cielo formano la costellazione dei Gemelli. In Egitto, la coppia era costituita da Horus e Seth, spesso ritratti come un solo essere. Nella gnosi alessandrina, la coppia immortale-mortale era codificata nel duo Prometeo-Epimeteo. Mosè doveva ben conoscere il simbolismo dei gemelli, e nella compilazione di Genesi nascose il mito egizio nella storia dei fratelli Caino e Abele. È latente un simbolismo profondo nel principio della predilizione dei primogeniti da parte del Signore. Il primogenito, da un punto di vista iniziatico, non è il primo nato sul piano anagrafico-biologico, ma “colui che è nato prima” spiritualmente. Questi è il Dio interiore, lo Spirito divino in noi, l’Io Sono che esiste prima dell’umano e gli infonde vita attraverso il soffio vitale (ebr. ruach elohim). Ciò rimanda alla staffetta Giovanni-Gesù, ove Giovanni Battista dice: “Verrà Uno dopo di me che è nato prima di me”. L’essere spirituale, il Cristo, l’Adam Kadmon, è la Causa: il Vivente. L’essere umano, la creazione, è l’effetto e l’ombra: il morto. In tal senso viene dopo, semplicemente perchè la causa precede sempre l’effetto. Dante, in Vita Nova II, scriveva: “Ecce Deus fortior me, qui veniens dominatur mihi - Ecco un Dio più forte di me che venendo mi dominerà”. Ciò rimanda all’Ecce Homo, il Nuovo Uomo che, venendo, dominerà la natura di Gesù. Dante allude a quello Spirito più forte dell’Anima, a quel Falco (Ka, Horus, Amore) che dovrà assimilare la Colomba (Ba, psiche sublimata), in modo tale che “Amore signoreggi la mia anima”. Non è quindi casuale che i termini Caino e Abele rimandino al “Ka” e al “Ba” egizi. Il Ka divora il Ba, come Caino divora Abele, poiché la sua terra sanguigna si nutre “uroboricamente” (da Uroboros) del suo stesso sangue.  Colui che viene prima è detto “primogenito dei morti” sia da Paolo in Colossesi 1:18, sia in Apocalisse 1:5. In senso allegorico è l’uomo primevo (Adam Kadmon o Adamo primordiale), l’Uomo generato prima dell’uomo, il Primate, ovvero Prometeo. Paolo lo denomina “primogenito di coloro che resuscitano dai morti”, ma al contempo è anche colui che viene dopo l’uomo, successivamente alla morte mistica: il Figlio dell’uomo.

Archetipo di fondamento
san-vitale2-300x191.jpgNel testo di Genesi, si dice che Caino ed Abele fecero la loro offerta di sacrificio al Signore. Mosè lascia intendere che uno dei due fratelli debba sacrificarsi per il Signore. La scelta è ovvia: il Signore sceglie Abele, il pastore simbolo dell’agnello sacrificale, dell’iniziato che sacrifica la propria animalità. Nello splendido mosaico della Chiesa di S.Vitale a Ravenna è descritto il “sacrificio di Habel” che offre l’“agnello” a Melchisedeq, noto come il “Sacrificatore”. Adonai (il Signore), ovvero Melchisedeq-Adonitzedeq, sembra gradire il sacrificio dell’agnello Abele, che è poi il battesimo del fuoco, poiché “agnello” proviene dal sanscrito “agni”, il fuoco (acqueo) interiore, di cui parla anche Giovanni Battista alludendo a Cristo che viene: “Verrà Uno che vi battezzerà col Fuoco”. Iniziaticamente, è la parte umana (Abele) che va sacrificata per far crescere la parte divina. Giovanni Battista dirà a proposito del Cristo: “occorre che io diminuisca affinche Lui cresca (Giovanni 3:30)”. Di fatto, limitare la parte animale-umana in noi significa elevare la parte divina. Sono come due vasi comunicanti: l’uno diminuisce e l’altro cresce e viceversa. Lo rivela anche Paolo in 2 Corinzi 4:16 : “Ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno…Le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove”. Questa è la parusia che può essere tanto universale che individuale. Queste sono le cose nuove a cui accenna Apocalisse 21:4 : “Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra…perché le cose di prima sono passate”. La Qabala-Tradizione  è tutta qui, nel rapporto  Qain-Abel (cannibale o cabalista), ossia nel Sacrificio di sé stessi per Sé stessi. L’auto-cannibalismo è implicito nell’alchemico serpente mangia-coda (Uroboro, Kundalini, serpente auto-divorante)  che nasconde una dinamica evolutiva se è Dio a divorare l’uomo, involutiva se il contrario. Le figure di Caino e di Gesù attengono entrambe al desiderio impetuoso e violento di elevazione spirituale, alla determinazione di spiritualizzazione della materia. Ne consegue che conviene a tutti noi imitare Caino e soprattutto Gesù, che conduce alla perfezione il modello cainico pre-diluviano divenendo il nuovo Metatron. Questa premessa è opportuna per comprendere al meglio il mito di Caino, perché di mito si tratta, non essendo mai esistito un uomo di nome Caino trattandosi piuttosto di un nome funzione. A leggere con attenzione il testo di Genesi 4:1, Caino viene prima di Abele, ed Eva (la Vergine, l’anima) lo “acquista” dal Signore, cosa che non viene detta di Abele, il quale è simbolicamente la parte materiale dell’uomo, la parte acquea, la Babele (Abele) o il Caos, prova ne sia la traduzione del termine ebraico “abel” : “debolezza” e “vanità”, la medesima che è crocifissa nel biblico Libro di Qoelet. Dietro le righe, di Caino è detto che sia un uomo di struttura e vocazioni divine; talmente divine che è palese il fatto che solo Caino abbia il privilegio di ascoltare la Voce di Dio. Nel testo di Genesi si narra che Caino fosse un “lavoratore del suolo”, mentre Abele era un “pastore di greggi”. Secondo tradizione, gli iniziati agli antichi misteri vengano qualificati come “lavoratori del suolo” o “agricoltori”. L’opera, il lavoro alchemico dell’iniziato, viene definita “Agricoltura celeste” o “Arte Reale”, e si contrappone all’agricoltura terrestre, imitazione esteriore della suprema arte trasmutatoria. L’iniziato, il Caino, il “cane” fedele all’Io Sono, per riconciliarsi con il proprio Dio interiore, lavora la propria terra sterile, seguendo i medesimi princìpi naturali che regolano la coltivazione della “terra esteriore”, noti ad ogni buon contadino: il dissodamento, la concimatura, la mietitura, il raccolto, i cicli stagionali, le lunazioni. L’iniziato-alchimista si comporta esattamente come un contadino, imitando la natura al fine di far fruttare e germinare la propria terra interiore (l’anima acquea) e far nascere il “virgulto”, la “pianta”, il “pollone”, il “bambino alchemico” che gli Egizi chiamavano Horus, i Greci Apollo (Pollone) e Arpocrate, i Cristiani Cristo o Figlio dell’Uomo. Anche Noè, il sopravvissuto del Diluvio (alchemico), viene definito da Mosè: “coltivatore della terra” in Genesi 9:20. Ed è questo il primo attributo di Caino, colui che coltiva l’anima, la vera terra interiore. Non è casuale che, nelle lingue semite, il termine “cain” significhi “fabbro”, allusione al lavoro sui metalli e di qui all’alchimia. Pochissimi sanno che San Giorgio, famoso per il suo trionfo sul dragone, trae il suo nome dal greco “gheorgeos” che significa proprio “contadino”. Ciò significa che Caino è l’archetipo del guerriero spirituale che combatte la santa battaglia contro il drago-Abele, suo fratello, proprio come Horus abbatteva il fratello Seth. La sua non è furia omicida, ma eroico furore, volendo citare Giordano Bruno. È probabile che Mosè, che aveva acquisito tutta la sapienza degli Egizi (Atti 7:22), aveva trasposto nel mito di Caino la funzione dei sacerdoti Kanu di Heliopolis, coloro che sacrificavano sé stessi.

Traduzione dall’ebraico
Fabre_dolivet.jpgNel testo di Genesi 4:6, versione dei Settanta, il Signore dice a Caino, il cui sacrificio era stato rifiutato: “Perché sei irritato? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta. Verso di te è il suo istinto, ma tu dominalo!”. Il traduttore, nell’occasione dimostra di non possedere alcuna conoscenza esoterica-iniziatica che lo possa aiutare a tradurre degnamente un testo criptico. Il linguista ed esoterista Antoine Fabre D’Olivet fu fra i pochi a comprendere il valore e il reale significato simbolico di Caino, come concepito dallo scriba Mosè, e vi giunse attraverso una eccezionale conoscenza dell’ebraico antico, il che gli consentì di arrivare al senso segreto riposto nella scrittura di Genesi e far luce sulla natura tutta interiore del conflitto Caino-Abele. Nel suo eccezionale La Lingua Ebraica Restaurata, capolavoro di archeologia linguistica, peraltro avversato e messo all’indice dalla Chiesa Romana all’inizio dell’ 1800, dall’alto della sua profonda conoscenza dell’ebraico antico e della Tradizione, tradusse così Genesi 4:6: “Perché questo turbamento e questo abbattimento? Non è vero che se tu fai il bene ne porti il segno? E se non lo fai, al contrario, il vizio ti si dipinge in fronte? Che il male ti attira nella sua china che diviene la tua? E che tu ti rappresenti simpateticamente in lui?”. D’Olivet mi ha offerto il destro per giungere al significato più profondo del passo: “Se tu agisci bene, non ti eleverai (n.d.a. spiritualmente) forse? Domina i tuoi istinti animali, perché il serpente kundalini è acciambellato (accovacciato) alla base della tua spina dorsale (porta degli uomini). La sua energia ti vuole possedere, tu piuttosto possiedi lei ed innalzati”. Difatti Caino si innalza contro l’anima concupiscibile, poiché Elohim YHWH invita il suo uomo-cane (in ebraico “cohen”, sacerdote) a curare l’anima animale, a placarne istinti e passioni, senza cui non è possibile comunione con l’essere spirituale in noi. Mi sembra che vi sia un nesso fra l’abbattimento di Caino prima della immolazione di Abele, e la spaventosa angoscia mista a paura e tristezza di Gesù prima della crocifissione, come descritta in Luca 22:44. Il problema di Caino è che egli non riesce semplicemente a dominare l’istinto (Abele) ma lo annulla. In seno alla Tradizione è noto che il cavaliere (iniziato) debba domare e non uccidere il drago (energie animali), onde sfruttare il suo immenso potere a fini di evoluzione spirituale. Il drago, ossia la natura animale, è la tirannica depositaria di talenti e potenze interiori. Caino chiederà al fratello di venire con lui in campagna (in ebr. “shade” nel senso di natura produttrice) simbolo del processo alchemico, ma anche della guerra interiore che si svolge nella componente astrale della mente (subconscio) da intendersi come “campo di battaglia” (il kurukshetra dell’induismo), si innalzerà sul fratello, alzerà la mano contro di lui e lo ucciderà.

Caino-Longino
michele trafigge con lancia.jpgNel testo tradotto dal D’Olivet è detto: “Cain, il violento centralizzatore, si elevò con veemenza contro Habel suo fratello, lo abbattè con le sue forze e lo immolò (molto diverso dall’espressione “lo uccise”)”. Ora, se Caino alza la mano contro il fratello e lo uccide, chi nello scenario della crocifissione infligge il colpo di grazia a Gesù, l’agnello immolato? La risposta è Longino con la sua lancia. Ivi si cela la segreta associazione Caino-Longino (Cristo) e Habel-Gesù (Giovanni, l’agnello umano da sacrificare), poiché la parola ebraica “cain” significa anche “lancia”. È come se il Cristo-assassino dicesse al suo delfino umano: “Tu sei un segnato, per cui devo sacrificarti”. La croce è idealmente il simbolo di questo sacrificio alchemico che si avvale del fuoco-lancia, ossia del potere distruttivo e violento di Cain. E Gesù ci insegna che “il cielo è dei violenti ed i violenti se ne impadroniscono” (Matteo 11:12). Nel Vangelo di Filippo 50, Gesù insegna ancora che “Dio è un divoratore di uomini; per questo l’uomo gli è immolato”. Che Gesù sia stato Caino a sé stesso, rinnegandosi e immolando sè stesso, è da lui stesso dichiarato: “Per questo il Padre mi ama; perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo; nessuno me la toglie ma la offro da me solo”. Caino se la tolse, parimenti, offrendo Abele onde restituire le energie al nucleo divino intrappolato nella porta degli uomini (osso sacro): l’inferno del corpo, la sede del nemico e delle sue legioni. Così operando, l’iniziato “ruba” la forza all’animalità e la trasmette alla divinità. In tal senso è illuminante Apocalisse 5:9: “Degno è l'Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l'onore, la gloria e la lode”. Ricevere queste benedizioni comporta il ricevere un marchio oltre che un nome nuovo; e quel marchio da sempre è detto “di Caino”. In questo e solo in questo consiste la qabala, ovvero “ricevere” ciò che lo spirito di Dio trasmette al sacrificatore-sacrificato. Si legga Ezechiele 9:4-6: “Il Signore gli disse: “Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si compiono…Vecchi, giovani, ragazze, bambini e donne, ammazzate fino allo sterminio: solo non toccate chi abbia il tau in fronte; cominciate dal mio santuario!””. Se il Signore dice: “Chiunque uccide Caino subirà la vendetta sette volte”, e gli impone un segno, è palese che il marchio di Caino è il marchio dell’Israel spirituale: il sole frontale, il sigillo del terzo occhio, che non casualmente nella qabala è detto “ayna”, termine fortemente simile a Caino. Ecclesiaste 2:14 ci informa che “il saggio ha gli occhi in fronte”. Un accenno occulto al marchio degli eletti è in Esodo 12:22-23 “Prenderete un fascio di issòpo, lo intingerete nel sangue che sarà nel catino e spruzzerete l'architrave e gli stipiti con il sangue del catino. Nessuno di voi uscirà dalla porta della sua casa fino al mattino. Il Signore passerà per colpire l'Egitto, vedrà il sangue sull'architrave e sugli stipiti: allora il Signore passerà oltre la porta e non permetterà allo sterminatore di entrare nella vostra casa per colpire”. Il sangue sull’architrave della porta di casa non è altro che il tau frontale, poiché come insegna Paolo, il tempio è il corpo. Colui che abbia il segno non può essere toccato, altrimenti lo sterminatore, ovvero quello che nell’Antico Testamento è conosciuto come “vendicatore del sangue” (ebraico go’el), farà implacabilmente giustizia. Apocalisse 7:3 parla di ideali 144.000 Caini, intoccabili come lo furono gli israeliti segnati in terra d’Egitto: “Non devastate né la terra né il mare, né le piante, finchè non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi”. Ebbene, Caino non è descritto proprio come un servo (in ebraico “hobed”)? È un caso che la Bibbia si apra con un segnato, il cui nome in inglese (chain) significa “catena”, e si chiuda con una catena iniziatica composta da segnati (la stirpe di Caino)? Non credo, tenendo anche nel debito conto che, essendo gli eletti un popolo di sacerdoti e sacrificatori dell’Altissimo (1 Pietro 2:9), il termine ebraico “Cohen” (sacerdote) debba molto al termine “Cain” oltre ad essere il rovescio di “Enoch” (cfr. HERA n§63 pag. 72). Vi è una correlazione molto profonda tra Melkisedeq, archetipo del Sacerdote superiore, e Caino, che merita di essere approfondita.

Un Figlio della Luce
Caino, dunque, è il “Figlio della Luce” per eccellenza, colui che rientra in comunione con Dio, il “segnato” da Dio. Non a caso questo concetto era espresso dai padri della Chiesa col termine greco “koinonia”. Nello Zohar 1:37A è detto: “Quando Eva diede alla luce Caino, il suo viso non  somigliava a quello di nessun essere umano; ed è così che tutti i suoi discendenti furono chiamati Figli di Elhoim o Figli della Luce. Fu l’Elhoim Samael (Melchisedeq, lo Spirito, la Luce) che copulò con Eva (l’anima) e generò Caino”. Fabre D’Olivet tradusse in questo modo il testo ebraico originario di Genesi 4:1: “Tuttavia Adam, l’Uomo Universale, conobbe Hewa, l’esistenza elementare; ed essa concepì (partorì) Caino, il forte e il potente trasformatore; ed ella disse: io ho formato, secondo la mia natura, un principio intellettuale dell’essenza mia, e simile a YHWH”. D’Olivet, mostrando di conoscere molto bene il significato simbolico dei caratteri alfabetici linguistici, affermò inoltre che “la radice ebraica del nome Caino si compone del segno eminentemente compressivo e tranciante, e di quello dell’essere prodotto. Tale radice sviluppa l’idea della più forte compressione e dell’esistenza più centralizzata. Caino, ieroglificamente, è potenza manifestata. Talchè può significare il Forte, il Potente, il Rigido, il Veemente; nonché il Centrale, colui che serve di base, di regola, di misura; colui che agglomera, che si appropria, che prende, che comprende, che assimila a sé. È in quest’ultimo senso che Mosé sembra averlo usato nel verbo seguente. Il suo nome significa reggere, governare, mostrare potenza di un re; come per segnalare che, in moltissime lingue, l’idea del potere e della regalità è derivata dalla radice Kan, Kin o Caino”. Egli è l’archetipo del Figlio dell’Uomo nell’era pre-diluviana. Mi rendo conto che ciò sfida un sentire comune rafforzato nei millenni. Ma non è questa l’era delle rivelazioni? Caino rappresenta, quindi, la prima vera risposta dei Figli di Dio allo strapotere degli Arconti su questo piano di realtà, il primo guerriero spirituale dell’umanità, il primo vero cavaliere (ingl. KN-ight) che combatte le sue tendenze carnali

Testi Consigliati
Antoine Fabre D’Olivet. La Lingua Ebraica Restaurata. Ed. Pizeta

Pietro il vero Traditore

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di Mike Plato


Se volessimo interpretare alla lettera i Vangeli, non ci sarebbero dubbi nel considerare traditore Giuda, divenuto negli ultimi 2000 anni l’archetipo di colui che tradisce. L’espressione “bacio di Giuda”, che in senso meramente iniziatico è un tenero bacio di amicizia fra due fratelli in spirito, è un marchio infamante per la memoria di un apostolo il cui ruolo, iniquamente, è stato volutamente malinterpretato. Per chi conosce il simbolo e non si ferma alla lettera, il vero traditore non è Giuda, che comprende il piano divino e ne permette la realizzazione bensì Pietro che dimostra a più riprese di non comprendere l’ineluttabilità della sofferenza di Gesù, tentando addirittura di opporvisi. Pochi leggono attentamente il testo biblico, ma a me sembra che Matteo 26:50 sia più che chiaro al riguardo, allorché Gesù dice a Giuda: «Amico! Per questo sei qui».  La visione esoterica di Giuda ruota intorno alla domanda perché il tradimento venga perpetrato con un gesto simbolico così tenero come il bacio santo tra fratelli in spirito. La storia di Giuda presenta molti lati oscuri. David Ovason, ne L’Iniziato di Mark Hedsel, afferma testualmente: «I Vangeli non lascerebbero dubbi sul suo tradimento, ma il modo in cui lo raccontano suggerisce che esso nasconda uno dei grandi misteri del cristianesimo ancora in attesa di essere svelati… Il destino di Giuda è di ardua interpretazione». Gesù considera in Giuda non la sua inimicizia, ma la volontà di Dio, la necessità della realizzazione del Piano e delle profezie dei santi di Israele sul Messia che sarebbe venuto. Gesù ha in tale considerazione Giuda da chiamarlo “amico” e amico era. Potrà apparire bizzarro, ma sono convinto che Gesù abbia chiesto personalmente a Giuda di tradirlo, al fine di portare tutto a compimento. Senza Giuda, non ci sarebbe stata alcuna crocifissione e alcuna resurrezione. Ci sono precise espressioni di Rabbi Gesù che condurrebbero a una simile e sorprendente conclusione, una teoria intuita e ripresa da Nikos Katzanzakis nel suo L’Ultima Tentazione, tanto da ispirare Martin Scorsese nella realizzazione del film omonimo. In Giovanni 13:27, appare evidente che Gesù abbia ispirato Giuda nel fare ciò che assolutamente deve essere fatto: «Gesù quindi gli disse: “Quello che devi fare fallo al più presto”. Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo». Nessuno, eccetto forse la Maddalena, il segreto discepolo che Gesù amava, poteva sapere del segreto accordo fra il Maestro e l’apprendista. Gesù sollecitò Giuda a fare in fretta perché il tempo stringeva e la Grande Opera doveva essere portata a compimento. Giuda, nonostante avesse accettato a malincuore il patto con il Maestro, ritenne in ogni caso, sebbene neanche lui comprendesse il piano, di aver commesso un’azione indegna cosicché inveì contro i sacerdoti che avevano condannato Rabbi. Tentò di restituir loro i denari che poi gettò nel santuario affinché fossero benedetti e poi si tolse la vita impiccandosi, non tollerando più se stesso. Mi sembra che un simile pentimento non fu mai attuato da Pietro. Non v’è traccia alcuna né nei Vangeli, né negli Atti né tanto meno nelle Lettere.


Il Pietro satanico secondo Gesù


Come non fare confronti tra l’«amico» pronunciato da Gesù a Giuda e l’epiteto «satana» proferito da Gesù a Pietro? Simon Pietro, detto Chefa (in greco “roccia”), è chiamato nel Vangelo di Tommaso «Guardiano di Gesù», forse la sua più fida guardia del corpo. è molto probabile che fosse chiamato Roccia proprio per via della sua forza e della sua struttura fisica. Gesù aveva bisogno di un “duro” per proteggersi dalle ire di quegli scribi e farisei verso i quali inveiva con forza e coraggio. Come poteva talvolta sottrarsi all’ira della folla senza la determinante protezione dei dodici e in particolare di un omaccione quale Pietro? Tuttavia, al di là di quel ruolo, in più occasioni Pietro rivela un’ottusità e un’ingenuità spirituale disarmanti. In Matteo 17:22 Gesù rivela ai discepoli il Piano divino che contempla il suo calvario, necessario per morire e rinascere (come la fenice), ma Pietro, stupidamente, sembra ribellarvisi scatenando l’ira di Gesù: «Ma Egli, voltandosi, disse a Pietro: “Lungi da me Satana! Tu mi sei di scandalo perché non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini”». Ivi, Gesù fa intendere che Satana, l’avversario del divino, è l’uomo stesso. In Giovanni 13:5-11, Pietro persevera nell’errore: «Poi Gesù versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: “Signore, tu lavi i piedi a me?”.  Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci ma lo capirai dopo».  Gli disse Simon Pietro: “Non mi laverai mai i piedi!”. Gli rispose Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”.  Gli disse Simon Pietro: “Signore, non solo i piedi ma anche le mani e il capo!”. Soggiunse Gesù: “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti”». Sapeva infatti chi lo tradiva. Per questo disse: «Non tutti siete mondi». Sono fermamente convinto che anche in questa occasione Gesù alludesse a Pietro e non a Giuda. In Giovanni 21:18 Gesù, dopo la resurrezione e la realizzazione cristica, profetizza con rigore a Pietro, dopo averlo ammonito per ben tre volte, di pascere le sue pecorelle: «In verità ti dico, Pietro, quando eri più giovane ti cingevi i fianchi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». Il misterioso altro a cui Gesù accenna è Satana/Beliar, l’avversario dei Giusti, colui che tiene in scacco i destini dei deboli. In Matteo 14:22 Pietro è dichiarato «uomo di poca fede». «Pietro gli disse: “Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque”. Ed egli gli disse: “Vieni!” Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù ma impaurendosi disse: “Signore salvami!” E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”» Il passo che ha suscitato un’erronea considerazione della figura di Pietro è certamente Matteo 16:18 che, interpretato alla lettera, ha dato adito alla Chiesa Romana di costruire le proprie fortune sulla successione apostolica da Pietro, anziché dai legittimi eredi di sangue di Gesù e Maddalena. Occorre ricordare che gli Esseni (Figli della Luce) nel Documento di Damasco 1:19 affermano che i Figli o Servi delle Tenebre abbiano l’abitudine inveterata di: «Dichiarare giusto l’empio e l’empio giusto» ovvero di far credere che un personaggio empio sia stato giusto e viceversa. Con Gesù hanno seguito un’altra strategia: lo hanno fagocitato, portandolo dalla loro parte. D’altronde il giusto Paolo, in 2 Corinzi 12:7, rivela che anche Satana si mascheri da angelo della luce.  Il testo di Matteo dice: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò [non dice edificherai] la mia chiesa [tempio interiore, concetto espresso anche da Paolo] e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli; e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». In realtà, il passo è velatamente alchemico. Il nome Pietro è reso in greco con Kefa e in Egitto kefa era reso col termine “skeffa”, conosciuto meglio come “cibo skeffa”, codificazione di un alimento alchemico. Lo stesso kepher, la prima materia alchemica nella tradizione esoterica egizia, è strettamente legato a Pietro-Chefa. La Pietra, infatti, rappresenta la Prima Materia dell’iter alchemico, indispensabile per la costruzione del proprio tempio interiore, tanto più che Gesù parla di «sciogliere e legare», una chiara allusione al «solve et coagula» alchemico, ottenibile con la prima chiave dell’alchimia («a te darò le chiavi del Regno dei Cieli»). L’Ego Te Absolvo del confessore cristiano è un’allusione al solve, ossia allo scioglimento del karma operato con l’acqua di fuoco. Nella Pistis Sophia 133:3, Gesù sembra idealmente riallacciarsi a quanto detto con «Per questo ho portato nel mondo la chiave dei misteri: per sciogliere peccatori che crederanno in me e mi ascolteranno; per scioglierli dai vincoli e dai sigilli degli arconti; per unirli (legare-coagulare) ai sigilli, agli abiti e agli ordini della luce. Cosicché colui che nel mondo sciolgo dai vincoli e dai sigilli degli eoni degli arconti, sia sciolto in alto dai vincoli e dai sigilli degli eoni degli arconti. Cosicché colui che nel mondo avvinco ai sigilli, agli abiti e agli ordini della luce, nel paese della luce sia unito agli ordini delle eredità della luce». Ciò che è dentro è anche fuori e ciò che in basso è come ciò che è in alto. Elemento importante nell’economia del vero tradimento è il triplice rinnegamento di Gesù da parte di Pietro. In tal senso, al canto del Gallo (il richiamo di Dio, dell’Oriente spirituale), Pietro diviene il simbolo di colui che non ascolta la chiamata del Signore volta a intraprendere la Via, secondo il detto che Gesù stesso aveva pronunciato: «Molti i chiamati, pochi gli eletti». E Pietro, seppur chiamato, non era un eletto. C’è anche un altro passo che testimonia della non elezione di Pietro, Giovanni 21:7: «Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato e si gettò in mare. Gli altri discepoli vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci». Tutti i discepoli arrivano con la barca, Pietro è l’unico a tuffarsi in mare, il che vuol dire che egli è ancora immerso nelle sue acque, ovvero dominato dal subcoscio. Pietro ragiona ancora in termini troppo umani, nella Tradizione simboleggiati dalle acque. Un’ulteriore dimostrazione dell’incapacità di Pietro di capire il Piano divino sul suo maestro è offerta da Giovanni 18:11 e Matteo 26:52 allorché Gesù, arrestato al Getsemani, visto Pietro che usava la spada contro il servo del Sommo Sacerdote tagliandogli l’orecchio destro, si adira con lui e lo apostrofa: «Pietro, rimetti la tua spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio che mi darebbe subito dieci legioni di angeli? Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato? Ma allora, come si adempirebbero le scritture secondo le quali così deve avvenire?». Pietro dimostra ancora una volta di non godere di alcuna consapevolezza dell’ineluttabilità degli eventi che avrebbero permesso a Gesù il Cristo di completare la sua missione, interna ed esterna.



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Il nemico delle donne del tempio


Pietro non era un maestro di giustizia e non godeva neanche di una grande illuminazione spirituale, come i Vangeli si sforzano di mostrare in diverse occasioni. I vangeli apocrifi, non a caso avversati dall’autorità religiosa romana, documentano di una feroce avversione di Pietro per le donne iniziate (sacerdotesse) e in particolare per la Maddalena (cfr. pag. 40 su questo numero). La sua avversione per le donne fu ereditata anche dalla Chiesa Romana che non ha mai ammesso la donna al sacerdozio. Il contrasto fra l’organizzazione delle comunità iniziatiche che ammettevano la donna al sacerdozio e quello successivo della Chiesa Romana è sconcertante, dato che lo stesso Gesù affermava che «la continenza deve essere frutto di libera scelta». Ed è proprio Pietro ad avversare Maddalena, anzi a esserne perfino geloso, poiché Gesù la bacia sulla bocca e la esalta davanti agli altri. Pietro sembra non tollerare questo atteggiamento di Gesù e Maddalena (Pistis Sophia 72:6), confessa di temere le minacce di Pietro, il quale ha in odio il nostre genere femminile. Addirittura Pietro, nella Pistis Sophia 146:1 sbotta: «Le donne la finiscano di domandare affinché possiamo domandare anche noi». Quest’odio atavico per la donna e in particolare di Pietro per esse e per Maddalena è ben documentato nel Vangelo di Tommaso 121, allorché Pietro stesso afferma: «Maria si allontani di mezzo a noi, perché le donne non sono degne della Vita» E Gesù risponde a Pietro: «Ecco io la trarrò a me in modo da fare anche di lei un maschio, affinché possa divenire uno spirito vivo simile a voi maschi. Poiché ogni donna che diviene maschio entrerà nel Regno dei Cieli». Anche nel Vangelo di Maria, Pietro contesta il suo rapporto con Gesù, dicendo: «Avrebbe egli davvero parlato privatamente con una donna e non apertamente con noi? Perché dovremmo cambiare opinione e darle ascolto?» Un vero iniziato conosce il valore e la sensibilità di una donna con forti inclinazioni spirituali. Pietro dimostra uno stato di coscienza inferiore a quello degli altri discepoli e di essere affetto da quel fastidioso maschilismo che sarà poi ereditato dalla Chiesa Romana.


Leonardo aveva compreso o sapeva


Una traccia illuminante del tradimento di Pietro è rinvenibile nell’arte sacra: il famoso Cenacolo di Leonardo da Vinci. è noto che Leonardo fosse un iniziato e, probabilmente, doveva aver intuito, o essere stato istruito sul fatto che il vero traditore in senso spirituale, tra i dodici, fosse Pietro. Dallo scenario dell’opera sembra che Leonardo abbia voluto riprodurre l’episodio dell’annunzio del tradimento come narrato in Giovanni 13:21. La scena che più ci riguarda è quella descritta nella parte sinistra dell’opera, ove appaiono nell’ordine: Bartolomeo, Giacomo il Minore, Andrea, Giuda, Pietro, Giovanni(Maria Maddalena), Gesù.

Nel passo di Giovanni è detto che il discepolo che Gesù amava, ovvero Giovanni-Maddalena, si trovasse al fianco di Gesù. Nell’opera appare che, chi si trova alla destra di Gesù, non sia l’uomo Giovanni, ma una donna a Gesù speculare: veste rossa e mantella blu per Gesù, veste blu e mantella rossa per Maddalena, i classici colori sacerdotali. Non solo. In Giovanni 13:24 si dice che Simon Pietro facesse un cenno al discepolo che Gesù amava, chiedendogli/le: «Di’, chi è colui a cui si riferisce?» è detto poi: «Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: “Signore, chi è?”». Solo la Maddalena (cioé Giovanni Evangelista), innamorata del Maestro, poteva compiere il tipico gesto di una donna innamorata: reclinare il capo sul petto dell’amato. Perché, ci si chiede, proprio Pietro e non altri formula questa domanda che ha tutta l’aria di essere una domanda retorica? Nell’opera è evidente che proprio Pietro si sporge verso la Maddalena come a volerle porre una domanda in un atteggiamento ambiguo che testimonierebbe quell’avversione di sapore maschilista documentata negli apocrifi.

è proprio Leonardo ad introdurre l’elemento apparentemente bizzarro ed estraneo che esprime ambiguità e tradimento. Tra Giuda e Andrea, precisamente quasi all’altezza del tavolo e alle spalle di Giuda, appare un coltello minaccioso nascosto alla vista di Gesù. Chi lo impugna? Giuda non può essere poiché ha entrambe le mani in vista. Il coltello è maneggiato da Pietro che sembra così, nell’ottica di Leonardo, avere un atteggiamento ambiguo sia nei confronti della Maddalena che di Gesù. Si consideri che nei quattro Vangeli sinottici, allorché annuncia il tradimento, Gesù parla proprio a Pietro profetizzando il suo imminente triplice rinnegamento. Chefa gli promette di dare la vita per lui (Giovanni 13:37), ma Gesù già sa che Pietro non è destinato a compiere il sacrificio d’amore ed espierà venendo crocifisso a testa in giù. Pietro era fondamentale per gli eventi a venire. Da lui doveva poi promanare quell’istituzione nota come Sacra Romana Chiesa, evento ineluttabile nei piani divini. Egli, come descritto in Galati 2:11, si scontra a viso aperto perfino con Paolo, di gran lunga più evoluto di lui spiritualmente: «Ma quando Chefa [Pietro] venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. Infatti prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo [fratello di sangue di Gesù], egli mangiava insieme ai pagani [gli iniziati mangiano solo con gli iniziati, poiché sono compagni, cioè mangiano il pane insieme]; ma dopo la loro venuta cominciò a evitare i pagani e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi [fratelli iniziati]. E anche altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Chefa in presenza di tutti: “Se tu che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei (di cui Cristo è re), come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?”» Insomma, Pietro era un personaggio minore da un punto di vista iniziatico e, come tale, ebbe accesso solo a quei misteri minori che, con tutta probabilità, furono custoditi dalla Chiesa di Roma. Giuda, al contrario, seppe dimostrare di comprendere il Maestro e il piano del Padre su di lui, molto meglio di altri discepoli. Non dimentichiamo che, in alcune occasioni, gli apostoli confessarono di non credere all’incredibile messaggio del Rabbi e lo stesso Gesù, nella sofferenza del Getsemani, li definì «dormienti». Forse Giuda (non appaia paradossale), fu il più vigilante di tutti loro. Il tempo confermerà certamente la sua statura come ha fatto Katzanzakis nel suo romanzo, in modo assolutamente illuminato: «“Giuda, fratello, il tuo momento è arrivato, sei pronto per tradirmi e consegnarmi a Caifa?” gli domandò Gesù. Giuda a sua volta gli domandò: “Ancora una volta, Rabbi, perché hai scelto me?” E Gesù: “Tu sei il più forte, lo sai. Gli altri non hanno la forza”. S’intromise Pietro, chiedendo preoccupato: “Dove va?” La risposta di Gesù fu: “La mano di Dio è in cammino. Non metterti sulla sua strada”.» Allorché Gesù afferma: «Nessuno dei discepoli è andato perduto tranne il figlio della perdizione, affinché si adempisse la Scrittura» (Giovanni 17,12), non a caso evita di nominare il traditore. Ciò al fine di non dare nulla per scontato e far sì che chi potesse intendere, intendesse.

IL CAINO GNOSTICO

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di Filippo Goti

 

Colui che si cimenta nello studio degli antichi testi gnostici, si può imbattere in una singolare inversione di ruoli, qualità, attribuzioni, che colpiscono in modo inesorabile protagonisti, comparse, e divinità dell'Antico Testamento. L'impressione che il poco accorto lettore potrebbe riceverne, è quella di essere innanzi ad un qualche gioco di specchi intento a rovesciare le verità in cui da sempre crede, oppure il passatempo di un narratore colto da improvvisa volontà di scandalizzare.

Non di rado, specie nello gnosticismo di matrice barbelotiana, i nomi del Dio dell'Antico Testamento, del Dio che ha designato il popolo ebraico a popolo eletto, sono i nomi delle potenze che legano, inebriano, e asservano l'uomo. Potenze demoniache, che portano i nomi di Jaldabaoth, di Sabbaoth, e di Samael, le quali hanno forgiato le catene che imbrigliano gli uomini al dolore e all'ignoranza infinita. E' utile dire immediatamente che non siamo innanzi ad una provocazione intellettuale, e neppure ad un deliro, bensì naturale conseguenza del modo in cui lo gnostico vive e legge ogni aspetto della Creazione.

Per lo gnostico la Creazione è frutto di un Dio minore, cieco e arrogante, di un Demiurgo partorito da una fatalità, e che di errore in errore contamina ogni azione e manifestazione. L'uomo spirituale immagine e somiglianza del Dio prima di Dio, ingelosisce il Demiurgo, scatenandone l’odio, che si concretizza in una farsesca tragedia ambientata in un cosmo parodia dell'ordine superiore. Un cosmo dove lo Spirito è prigioniero e stordito nella, e dalla, carnalità per il diletto delle potenze che lo inganno sulla sua vera origine.

Natura di questo semplice lavoro non è un disquisizione sul simbolismo e la reale filosofia gnostica, per cui rimando ad altri testi sicuramente maggiormente soddisfacenti sotto tale profilo, ma bensì evidenziare il meccanismo psicologico e didattico dell'inversione gnostica che trova in Caino il suo campione.

Se il mondo è una prigione, se il mondo è fonte di corruzione e turbamento dello Spirito, ecco che non appare adesso più parto di un folle, il gioco di specchi che come un sisma investe il Dio, il serpente, gli attori e le comparse, dell'Antico Testamento. In quanto è lo stesso mondo il riflesso di una realtà ultracosmica, che camuffa la verità con il simulacro della verità, e ammanta l'ingiustizia dei panni della giustizia. Cosa sono le antiche scritture, se non il verbo dell'Avversario per eccellenza il Creatore del cielo, della terra e dell'uomo fisico, da cui emergono però anche dei brandelli di verità, per colui che saprà leggere attraverso la luce dell'intelletto ?

Tutto è rovesciato, per cui ne discende l'odio e la condanna per i servi del Demiurgo, e del Demiurgo stesso, e di conseguenza la predilezione, l'innalzamento a simbolo ed esempio per tutte le figure delle antiche scritture che si ribellano al Dio creatore, che sono da esso giudicate, emarginate, costrette a nascondersi. Essi altro non sono che eroi pneumatici (dotati di Spirito, e consapevoli nello Spirito) che coraggiosamente hanno cercato di rompere il perverso giogo a cui, assieme all'umanità intera, sono asserviti.

A tale stutus di guida e simbolo è ovviamente asceso Ciano, tanto che da lui prese nome la comunità gnostica, del secondo secolo d.c ( cainiti) gruppo che propugnava una radicale contrapposizione fra i due testamenti.

Utile per meglio comprendere la psicologia dell'inversione, leggiamo, fra parentesi alcuni chiarimenti, un brevissimo estratto da un testo gnostico: << Questo serpente ( principio di movimento, di sovversione alla stasi, di intelligenza ) universale ( presente ovunque ) è anche la Parola (Logos, Verbo) sapiente ( che porta la conoscenza che libera ) di Eva. Questo è il mistero ( riservato agli adepti, a coloro che sanno essere cosa unica con il simbolo, a vivere in loro il Mito ) dell'Eden: questo è il fiume ( la linea iniziatica, che porta la vita dove altrimenti vi sarebbe solamente la morte ) che scorre dall'Eden. Questo è anche il segno ( la Gnosi modifica intimamente l'uomo ) con cui è stato marchiato Caino ( il pneumatico ), il cui sacrificio non fu accettato dal dio del mondo, mentre egli accettò il sacrificio sanguinoso di Abele: perchè il signore di questo mondo si diletta del sangue.. ( è frutto di carnalità ).>>

Quindi il Serpente portatore di Luce, emissario del vero Dio ovunque presente, si manifesta nell'Eden, nella prigione costruita dal Dio delle Scritture, per potare il Verbo che salva, che rompe le catene dell'ignoranza. Il serpente viene accolto da Eva, la quale a sua volta insegna ad Adamo quanto appreso. Attraverso di loro, i primi ribelli, il verbo viene perpetuato e tramandato in tutta la creazione, benchè riservato solamente a coloro che possono comprendere. Come conseguenza dello svelamento della verità suprema, abbiamo l'allontanamento dell'uomo dalla carnalità ( rappresentata dai sacrifici cruenti ) dalle basse emozioni di cui è pregna, dall'asservimento dell'uomo al rito, e dalla comunione dello stesso con lo Spirito.

Può forse lo gnostico, il pneumatico, lo spirituale accettare un Dio che pretende sangue dai suoi diletti ? Che si riconosce in un popolo che come rito di iniziazione, di appartenenza e di riconoscimento, necessità di sangue versato dall'organo sessuale, attraverso la fredda pietra, fra urla e gemiti di un bimbo incosciente di quanto sta accadendo ? Lo gnostico disgustato allontana da se questo calice, questa comunione di dolore e barbarie, e si rifugia nell'estasi filosofica, nella trascendenza dall'ordalia di carne e sangue. In una fratellanza spirituale, acquisibile solamente attraverso la più totale e completa ribellione: il rifiuto del sacrificio del sangue, e quanto esso esprime e simboleggia.

Leggiamo i passi della Genesi, che investano il rapporto fra Caino ed Abele, e fra essi e Dio.

Genesi 4:1 Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo dal Signore».

Genesi 4:2 Poi partorì ancora suo fratello Abele. Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo.

Genesi 4:3 Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore;

Genesi 4:4 anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta,

Genesi 4:5 ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto.

Genesi 4:6 Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto?

Genesi 4:7 Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo».

Genesi 4:8 Caino disse al fratello Abele: «Andiamo in campagna!». Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise.

Genesi 4:9 Allora il Signore disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?».

Genesi 4:10 Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!

Genesi 4:11 Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello.

Genesi 4:12 Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra».

Genesi 4:13 Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono!

Genesi 4:14 Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere».

Genesi 4:15 Ma il Signore gli disse: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l'avesse incontrato.

Genesi 4:16 Caino si allontanò dal Signore e abitò nel paese di Nod, ad oriente di Eden.

Emerge come Caino è il primogenito di Adamo ed Eva, a lui va la proprietà delle terre, mentre al fratello minore il governo del bestiame. Caino lavora la terra, ne regola la produzione, vive dei frutti della stessa, in armonia e pace, mentre Abele trae il proprio sostentamento dal bestiame, che pascola sulle terre del fratello maggiore. Interessante, anche se viene ad altri demandata, una lettura in chiave sociologica e antropologica del racconto biblico. Che può essere interpretato come il tentativo di sovversione da parte di Abele dell'ordine dinastico, che lo vedeva secondo rispetto a Caino, mediante il sacrificio di sangue alla Divinità-Autorità, di cui è richiesto l'intervento.

Una lettura in chiave religiosa, potrebbe suggerire il rifiuto alla circoncisione, simboleggiata dal sacrificio degli animali primogeniti, come purificazione e ammissione alla comunità, e la contemporanea presenza di un'altra realtà sociale e religiosa che trova fondamento in altri riti non legati alla carne e al sangue, e quindi di diversa elevazione spirituale.

La narrazione della Genesi, può avvenire in chiave psicologica dove Caino ed Abele altro non rappresentano che i due aspetti della composita e conflittuale condizione dell'uomo.

La Natura Superiore (Caino), legata alla metodica armonia, al rispetto dei cicli solari e lunari, e la Natura Inferiore (Abele) che si nutre degli aspetti della carnalità, entrano in conflitto. Attraverso la morte iniziatica, la prima trionfa sulla seconda, attirandosi però le ire delle potenze che lavorano affinché l'uomo rimanga legato a questo mondo. Ecco quindi che l'uomo gnostico, rinato da questa catarchica prova è "diverso" fra i suoi simili, in quanto vive non attraverso i sensi materiali, ma attraverso il segno, il marchio della Gnosi, fuggiasco dalle cose di questo mondo, estraneo ed alieno alla comunità carnale, in perenne antagonismo verso l'ovvio e costante tributo di sensi che deve essere capitolato al Signore del Mondo. In tale ottica ecco come lo Spirito, rappresentato da Caino, ha primogenitura rispetto alla carne, rappresentata da Abele, e come sia bandito, osteggiato, ingiuriato in questo mondo, senza però giungere alla sua distruzione, in quanto da contenuto alla forma, animando la materia. Siamo forse innanzi ad un'identificazione in Caino della componente spirituale, nobile, elevata dell'animo umano, in Abele della natura carnale, e nel Dio li rappresentato degli agiti psicologici legati alle pulsioni e compulsioni che più ci legano ad una dimensione mondana ? Lascio ad ognuno di noi la risposta a questo quesito.

Alla luce di quanto detto, siamo innanzi ad una volontà degli gnostici di esegesi del testo originale ? Ad un'allegoria ? Ad una pretesa di mostrare l'errore del Demiurgo e dell'estensore del verbo del Demiurgo ? Sicuramente queste triplici inflessioni possono essere presenti nelle varie scuole gnostiche, che si sono cimentate in tali sottili inversioni, ma non dobbiamo dimenticarne una quarta che per importanza sopravanza le precedenti. Essa è rappresentata dall'anelito salvifico, che trova viatico nella sola conoscenza, e che rende lo gnostico degno di tale essere tale. Un ardente desidero che non può non concretizzarsi in una rivolta verso le cose di questo mondo, verso le convenienze, e incarnarsi in un doloroso processo di autocoscienza ed abiura di quei comportamenti che ci rendono più simili ad animali, piuttosto che a figli di un Dio di puro Spirito.

Il sacrificio animale quale allegoria del ciclo della vita e della morte, dell'esplosione emotiva e sensoriale, del potere inebriante e oscurante della carne, ma anche del coito sessuale. Della cecità che anima il gesto di distruggere, di togliere, di sprecare la vita in virtù di un comandamento, di un impulso cieco e non ragionato, che ottenebra la mente dell'uomo, costringendolo ad un barbarico scempio. Il sacrifico è l'olocausto che ogni giorno l'uomo impone a se stesso, al proprio corpo, alla propria mente, e alla propria anima. Attraverso la corruzione della carne, i bassi pensieri , le superstizioni e il cattivo uso delle facoltà intellettive, ed infine l'avvelenamento emozionale dell'anima.

Non è impossibile ravvisare nel racconto biblico di Caino, una similitudine di messaggio con le parole che compongono i seguenti passi del Vangelo di Matteo:

Matteo 10:34 Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada.

Matteo 10:35 Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera:

Matteo 10:36e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa.

Dove il Cristo, il portatore del verbo del Dio prima di Dio, restauratore della comunione fra la vera fonte e i suoi figli dispersi, indica proprio in ciò che più ci lega a questo mondo, come risieda il veleno del mondo, e la causa di separazione da Dio.Prima di concludere, un'ultima riflessione legata al luogo dove Caino va ad abitare, dopo l'abbandono della propria terra. Egli prende dimora a Nod, nelle terre di oriente, dove quindi sorge il Sole. Ecco quindi un Caino legato al culto solare, e portatore di una verità, di un segno che assume il valore di un simbolo di conoscenza, acquisibile solamente attraverso la ribellione, e la morte interiore: le Porte dell'Eterno Oriente si aprono, donando la Luce a colui che ha dominato la propria natura inferiore, e viene ammesso ai riti del fuoco.

I RE MAGI NEI VANGELI CANONICI ED APOCRIFI

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Edmondo Vittoria (tratto dal Sito degli amici di Edizioni Simmetria)

Magi: temine di origine iranica che sta a indicare individui con funzioni sacerdotali.

Erodoto, Diogene Laerzio, Plutarco avanzano ipotesi in parte contrastanti sulla loro origine. Chi dice appartenessero a una casta sacerdotale dei Medi, anteriore alla riforma di Zoroastro; chi invece sostiene fossero discendenti delle prime comunità zoroastriane: comunque i più sono concordi nel situarli nell’ambito della cultura religiosa iraniana, intorno al 1000 a. C.

Secondo lo storico greco Erodoto ( 485-425 a. C. ), i Magi erano una delle sei tribù dei Medi. Furono molto potenti fino all’unificazione dell’Impero Persiano con quello dei Medi, nel 550 a. C., quando il loro potere fu ridimensionato da Ciro il Grande.

Erano uomini sapienti, esperti di astronomia e di astrologia (distinzione sorta solo dopo il XIV secolo), avevano una cultura matematica caldea. Erano molto abili anche nell’interpretazione dei sogni.

Il loro nome si connette alla radice *mag, indicante dono, potere (da cui il latino magnus) ma con i secoli il termine degenera, fino a diventare dispregiativo: mago = ciarlatano. Così, nel nostro caso, si preferisce parlare di magi e non di maghi.

Nell’Antico Testamento, in più parti, si accenna a loro: per esempio, nel Libro di Geremia, 39:3 e 39:13; in quello di Daniele, 2:2; di Isaia, 60:3; nei Salmi, 70:9-11  e ancora, Salmi 68:30 ( “ A te i Re porteranno doni “.)

Il Vangelo di Matteo, il più antico dei quattro, scritto in Aramaico  forse intorno al 64 d. C.,  è l’unico dei Vangeli Canonici che parli della venuta dei Magi  (2: 1-12):

“ Dopo che Gesù nacque a Betlemme, in Giudea, al tempo del re Erode, ecco giungere a Gerusalemme dall’oriente dei Magi i quali domandavano:” Dov’è il neonato re dei Giudei? Poiché abbiamo visto la sua stella in oriente e siamo venuti ad adorarlo”. All’udir ciò il re Erode fu preso da spavento, e con lui tutta Gerusalemme. Convocò allora tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo e domandò loro:” Dove dovrà nascere il Messia? “ Essi gli dissero: “ A Betlemme di Giudea. Infatti così è stato scritto per mezzo del profeta:

Etu Betlemme, terra di Giuda
non sei la più piccola fra i capoluoghi di Giuda.
Da te uscirà un capo
che pascerà il mio popolo, Israele “.

Allora Erode chiamò segretamente i Magi e chiese ad essi informazioni sul tempo esatto dell’apparizione della stella; quindi li inviò a Betlemme, dicendo: “ Andate e fate accurate ricerche del bambino; qualora lo troviate, fatemelo sapere, in modo che anch’io possa andare ad adorarlo“.

Essi, udite le raccomandazioni del re, si misero in cammino. Ed ecco: la stella che avevano visto in oriente, li precedeva, finché non andò a fermarsi sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella furono ripieni di straordinaria allegrezza; ed entrati nella casa videro il bambino con Maria sua madre e si prostrarono davanti a lui in adorazione. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Quindi, avvertiti in sogno di non passare da Erode, per un’altra via fecero ritorno al loro paese“.

La stella che avevano visto in oriente li precedeva: una cometa?; una speciale congiunzione di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci, che sarebbe occorsa nel 7 a.C.? Quest’ultimo fatto, ora accettato dai più, farebbe quindi retrocedere la data di nascita del Cristo a sette anni indietro rispetto alla data canonica.

La stella di Giacobbe, quella che guida i Magi al riconoscimento messianico di Gesù, era già stata predetta da un altro mago orientale, Balaam (Numeri, 24:17):

“ Lo vedo, ma non ora, / lo guardo, ma non da vicino: / una stella si muove da Giacobbe, / si alza uno scettro da Israele…”

Tertulliano, filosofo e scrittore cristiano ( 155 ca., 222 d. C. ), fu il primo a dire che i Magi erano re, e Origene, teologo di lingua greca della Scuola di Alessandria (185-253), ne fissa il numero in tre. Infine nel VI secolo d. C. Cesario di Arles parla di Re Magi chiamati Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.

In un testo siriaco del V secolo i Magi, sempre tre, hanno nomi diversi. In altre tradizioni di influenza iranica, i Magi sono dodici e si dice vengano dall’Iran.

I Magi, in quanto sacerdoti e astrologi, conoscono le antiche scritture e quindi sanno che l’evento celeste della stella  da loro vista cambierà la storia dell’uomo. Vanno incontro al Cristo seguendo la stella, e lo riconoscono come Dio, come l’unico Dio, venerato anche dalla rivelazione zoroastriana. Hanno piena coscienza dell’importanza universale della nascita del Cristo. I Magi sono le prime autorità religiose che adorano il Cristo, l’Unto del Signore. Anche se nel Corano non si ritrova alcun riferimento a questi fatti, in Arabia il racconto dei Magi era ben conosciuto. Ne parla lo scrittore del VI secolo d. C. Wahb ibn Munabbih, che riferisce dei doni – oro, incenso e mirra – e del loro usuale simbolismo.

Nel Vangelo dell’Infanzia Armeno, fra i non-canonici forse uno dei Vangeli meno “apocrifi”, e che fa frequentemente riferimento a Luca e a Matteo, si parla estesamente dei Re Magi.

Dal testo si ricava che la nascita di Cristo è posta al sei Gennaio, giorno dell’Epifania, il cui significato è “manifestazione di Dio tra gli uomini”; come è noto la data del 25 dicembre si impose in seguito in occidente, per sovrapposizione al culto allora molto diffuso fra i pagani del Dies Natalis Solis Invicti, festeggiato al 25 Dicembre. Inoltre in questo Vangelo appare, per la prima volta nella tradizione cristiana, la credenza che i Magi fossero tre e anche Re.

“….Quando l’angelo aveva portato la buona novella a Maria era il 15 di Nisan (cioè il 6 Aprile), un mercoledì alla terza ora.
Subito un angelo del Signore si recò nel paese dei Persiani, per avvertire i Re Magi che andassero ad adorare il neonato. E costoro, guidati da una stella per nove mesi, giunsero a destinazione nel momento in cui la vergine diveniva madre.
In quel tempo il regno dei Persiani dominava per la sua potenza e le sue conquiste su tutti i re che esistevano nei paesi d’oriente, e quelli che erano i tre Magi erano tre fratelli: il primo, Melkon, regnava sui Persiani, il secondo, Balthasar, regnava sugli Indiani, e il terzo, Gaspar, possedeva il paese degli Arabi.
Essendosi uniti insieme per ordine di Dio, arrivarono nel momento in cui la vergine diveniva madre. Essi avevano affrettato il passo e si trovarono là al tempo preciso della nascita di Gesù“.

Tre giorni dopo la nascita del Signore, in una grotta nei pressi di Betlemme…

….. tre giorni dopo, il 23 di Tebeth (cioè il 9 Gennaio), ecco che i Magi d’Oriente, i quali erano partiti dal loro paese, mettendosi in marcia con un folto seguito, arrivarono nella città di Gerusalemme…………..I comandanti del loro corteggio, investiti della suprema autorità, erano dodici. I drappelli di cavalleria che li accompagnavano comprendevano dodicimila uomini: quattromila per ciascun regno. Tutti venivano, per ordine di Dio, dalla terra dei Magi, dalle regioni d’Oriente, loro patria. Infatti allorché l’angelo del Signore ebbe annunciato alla vergine Maria la notizia che la rendeva madre, come abbiamo già riferito, nello stesso istante essi furono avvertiti  dallo Spirito Santo di andare ad adorare il neonato. Essi pertanto, messisi d’accordo, si riunirono in uno stesso luogo, e la stella precedendoli, li guidava, con i loro seguiti fino alla città di Gerusalemme, dopo nove mesi di viaggio.
Essi si accamparono nei pressi della città e vi rimasero tre giorni, coi rispettivi principi dei loro regni. Benché fossero fratelli, figli di uno stesso re, marciavano al loro seguito eserciti di lingua molto differente.
Melkon, il primo Re, aveva mirra, aloe, mussolina, porpora, pezze di lino, e libri scritti e sigillati dalle mani di Dio.
Il secondo, il Re degli Indi, Gaspar, aveva come doni in onore del bambino nardo prezioso, mirra, cannella, cinnamomo, incenso e altri profumi.
Il terzo, il Re degli Arabi, Balthasar, aveva oro, argento, pietre preziose, zaffiri di gran valore e perle fini“.

Erode li riceve e chiede loro informazioni:

Dissero i Magi: La testimonianza che noi possediamo non viene né da uomo né da altro essere vivente. E’ un ordine divino concernente una promessa che il Signore ha fatto in favore dei figli degli uomini, che noi abbiamo conservato fino ad oggi.
“E dov’è questo libro che solo il vostro popolo possiede, ad esclusione di tutti gli altri?“, domandò Erode.
I Magi risposero: “Nessun altro popolo lo conosce né per sentito dire, né per conoscenza diretta. Solo il nostro popolo ne possiede la testimonianza scritta. Quando Adamo dovette lasciare il Paradiso, e Caino ebbe ucciso Abele, il Signore Dio diede ad Adamo, come figlio della consolazione, Seth e con lui questo documento scritto, chiuso e sigillato dalle mani di Dio. Seth lo ricevette da suo padre e lo trasmise ai suoi figli, e i suoi figli ai loro figli di generazione in generazione. E fino a Noè essi ricevettero l’ordine di custodirlo con somma cura. Noè lo diede al figlio Sem, e i figli di questo ai propri figli, i quali come lo ricevettero lo trasmisero ad Abramo, ed Abramo lo affidò al sommo sacerdote Melchisedec, e per questa via giunse al nostro popolo ai tempi di Ciro, re della Persia. I nostri antenati l’hanno deposto in una sala, con grande onore, e così è pervenuto fino a noi, che avendo ricevuto questo scritto, abbiamo conosciuto in anticipo la nascita del nuovo monarca, figlio del re d’Israele“.

Erode cerca di impossessarsi del libro, ma il Palazzo reale trema e crolla facendo una strage. Tutti sono presi da terrore e pregano Erode di lasciare andare i Magi. I Magi ripartono ed Erode si informa dagli scribi sul luogo della nascita di Gesù. I Magi giungono a Betlemme, adorano il Bambino e gli offrono i loro doni.

Infine il Re Melkon, preso il libro del testamento, che egli aveva in eredità dai suoi antenati, come già abbiamo detto, lo portò in dono al bambino, dicendo: “ Ecco lo scritto in forma di lettera, che tu hai lasciato in custodia, dopo averlo chiuso e sigillato. Prendi e leggi il documento autentico che tu stesso hai scritto (il Cristo-bambino è considerato, in quanto Dio, già in grado di intendere, di parlare e di leggere).
Questo è il documento il cui testo scritto era stato conservato in plico segreto e che i Magi, non avevano mai osato aprire né dare a leggere a qualche sacerdote, né far conoscere al popolo, perché essi (gli Ebrei) non erano degni di divenire i figli del Regno, essendo destinati a rinnegare e a crocifiggere il Salvatore.
Or dunque, quando Adamo dovette lasciare il paradiso, il Signore Iddio fece nascere ad Adamo, il figlio della consolazione, Seth. E come dapprima Adamo aveva voluto diventare un dio, Dio stabilì di diventare uomo, per l’abbondanza della sua misericordia e del suo amore verso il genere umano. Egli fece promessa al nostro primo padre che, tramite suo, avrebbe scritto e sigillato di propria mano una pergamena, a caratteri d’oro, con queste parole:

“Nell’anno 6000, il sesto giorno della settimana, io manderò il mio figlio unico, il Figlio dell’uomo, che ti ristabilirà di nuovo nella tua dignità primitiva. Allora tu, Adamo, unito a Dio nella tua carne resa immortale, potrai come noi, discernere il bene dal male“.

I Magi adorano Gesù, poi avvertiti dall’angelo, ripartono per il loro paese, senza tornare da Erode, conformemente al Vangelo di Matteo.

S. Elena – “ la splendente “, in Greco – ( 257-330 d.C. ), madre dell’Imperatore Costantino, nel 326, oramai anziana, a 78 anni,  intraprende un pellegrinaggio nei luoghi Santi della Palestina, presa da un grande fervore religioso. In Palestina, potendo disporre di grandi mezzi e grazie anche alla sua potenza regale, riuscì ad avere i giusti contatti con i quali si narra che sia arrivata al ritrovamento della tomba di Cristo scavata nella roccia, e alla scoperta della Santa Croce.

Si narra inoltre che riuscisse a venire in possesso dei corpi mummificati dei tre Magi, barattandoli, pare, con alcune reliquie di San Tommaso Apostolo.
I corpi dei tre Magi, furono sistemati nella cattedrale di S. Sofia in Costantinopoli, in una grande arca di pietra fatta costruire appositamente. Una tradizione popolare vuole che tali reliquie giungessero a Milano da Costantinopoli, nella loro pesante arca, su un carro trainato da buoi, come dono personale dell’imperatore di Bisanzio, Costante, a Sant’Eustorgio, dotto e combattivo vescovo di Milano del IV secolo.
Sant’Eustorgio, regalò le reliquie dei  Re Magi alla sua diocesi e per questo fece costruire la Basilica romanica che da lui prese il nome, fra il 315 e il 331.
Questo fatto fece per alcuni secoli la fortuna spirituale – ma anche economica – della diocesi milanese. Ma nel Marzo del 1162, con l’occupazione di Milano da parte degli eserciti di Federico Barbarossa, le preziose reliquie prendono la strada del nord, verso Colonia, grazie al cancelliere dell’Imperatore, l’Arcivescovo Rainaldo di Dassel, il quale era “interessato al prestigio della sua cattedrale in Germania e ai Re Magi in particolare, come capostipiti della monarchia di investitura divina. … Invano nei secoli successivi tre papi, S. Carlo Borromeo e un re di Spagna interposero i loro buoni uffici per il ritorno dei Magi dalla cattedrale di Colonia alla basilica milanese“ (Guido Lopez).

All’inizio del ventesimo secolo, nel  Gennaio 1904, grazie all’amicizia personale tra il Cardinale Ferrari, Arcivescovo di Milano, e il Cardinale  di Colonia, Fischer, parte di quelle spoglie tornano in San Eustorgio e vengono poste in un’urna di bronzo, accanto alla vecchia urna vuota, con la scritta “Sepulcrum Trium Magorum” (F. Belotti, G. Margheriti).

Come giustamente fa rilevare il Cattabiani, questa tradizione occidentale non si concilia con quella orientale testimoniata da Marco Polo ne “Il Milione”, secondo il quale i corpi dei tre Re sarebbero stati conservati al suo tempo ancora in Persia.

In Persia è la città di Sava dalla quale partirono i Re Magi quando andarono ad adorare Gesù Cristo. In quella città esistono ancora le tre tombe e sono grandi e belle……Sono vicine l’una all’altra e ancora si vedono i tre re imbalsamati con i capelli e la barba. Si chiamavano Baldassarre, Gaspare e Melchiorre. A molti cittadini messer Marco domandò di quei Re Magi ma nessuno seppe rispondergli: dicevano che erano tre re sepolti lì da tanto tempo. Ma poi riuscì a sapere cose che vi dirò subito.

A tre giorni di cammino da Sava, egli trovò un borgo chiamato Cala Ataperistan, che vuol dire castello degli adoratori del fuoco. Nome veritiero perché gli abitanti di questa terra adorano il fuoco. E spiegano così perché lo adorano. Raccontano quelli del luogo che tanto tempo fa tre re della loro regione andarono a visitare un profeta nato da poco; e portarono con loro tre offerte, oro, incenso, mirra, per poter riconoscere se quel profeta era Dio, re o sapiente.
Pensavano: se prende oro è un re, se prende incenso è un Dio, se prende mirra è un sapiente. Arrivati al luogo dove era il bambino nato da poco, il più giovane dei tre re andò a vederlo da solo: e lo trovò che somigliava a lui stesso e che pareva avesse la sua età e la sua fisionomia. Uscì stupefatto. Dopo di lui entrò quello di media età e il bambino gli parve come era apparso all’altro, della sua età e della sua fisionomia. Anche lui uscì fuori stupefatto. Poi entrò il terzo, che era di età maggiore e gli accadde la stessa cosa che agli altri due. Uscì fuori tutto pensoso.
Quando si ritrovarono insieme i tre re si raccontarono quello che avevano visto e, dopo essersi molto stupiti, decisero di andarci tutti e tre insieme. Eccoli ora tutti insieme davanti al bambino e lo trovano nell’aspetto e dell’età che egli aveva essendo nato da tredici giorni. Lo adorarono e gli offrirono oro, incenso e mirra e il bambino prese tutte e tre le offerte; poi dette loro un bossolo chiuso. E i tre re partirono per ritornare ai loro paesi” ( Cap. XXXI ).

Il racconto così prosegue.

Quando ebbero cavalcato per diverse giornate dissero che volevano vedere il dono del bambino. Aprirono il bossolo e trovarono dentro una pietra. Si fecero gran meraviglia di questo dono e ragionarono a lungo perché non capivano che cosa potesse significare. Il bambino aveva dato loro la pietra intendendo dire che dovessero essere fermi come pietra nella fede che avevano intravisto. Infatti, quando i tre re avevano visto che il bambino aveva preso tutte e tre le loro offerte, avevano concluso che egli era Dio, re e sapiente; e il bambino, sapendo che nei tre era nata la fede, aveva dato loro la pietra significando che restassero fermi e costanti in ciò che avevano creduto.
Ma i tre re non essendo riusciti a capire bene il significato di quel dono, presero la pietra e la gettarono in un pozzo; e appena ebbero gettata la pietra, scese dal cielo un fuoco ardente e calò dritto sul pozzo. A vedere il prodigio i tre rimasero addirittura stupefatti e si rammaricarono per aver gettata via la pietra; avevano capito che quello era un grande e mirabile segno. Così presero di quel fuoco e lo portarono al loro paese per custodirlo in una Chiesa bella e ricca dove da allora arde perennemente, adorato come un Dio.
Ardono su quel fuoco i sacrifici alla divinità e, se per caso la fiamma si spegne, se ne fanno dare da quelli che professano lo stesso culto e riaccendono il fuoco; mai lo riaccenderebbero in altro modo; per trovarlo sono capaci di viaggiare dieci giorni. Ecco l’origine di questo culto; e vi assicuro che questi adoratori del fuoco non sono davvero pochi. Ciò che vi ho raccontato è stato detto dagli abitanti di quel borgo direttamente a messer Marco Polo ed è la pura verità. Aggiungo che dei tre Magi, uno era di Sava, un altro di Ava, il terzo di Casan“. (Cap. XXXII).

Cristo, manifestandosi ai tre Magi secondo l’aspetto di ciascuno di loro, vuol significare che, se si è in comunione con Lui, si partecipa della sua natura divina. Inoltre, quando insieme lo vedono per ciò che è, un neonato, significa che solo in lui si rinasce alla vita eterna.
Attraverso i secoli, storia e legenda si legano indissolubilmente e ne nascono narrazioni fantasiose e spesso allegoriche, che peraltro nulla tolgono all’originale evento storico.
Ireneo di Lione ( 140-200 d. C. ) scriveva: “Per mezzo dei loro doni essi mostravano chi era colui che si doveva adorare. Essi gli offrivano la Mirraperché egli doveva morire per il genere umano; l’oro perché è il re il cui regno non avrà mai fine; l’incenso perché è Dio”.
(pianta medicinale da cui si estrae una resina gommosa con cui si preparano unguenti religiosi e per la sepoltura),

La radice *mag di Magi significa come si è detto “dono”, ma nella religione di Zoroastro – che i Magi professavano – indica anche il potere che nasce dalla separazione dello spirituale dal corporeo ”portandolo in diretto contatto con le energie divine; sicché il Mago è colui che partecipa del “Mag”, acquisendo un potere per mezzo del quale può ottenere una illuminazione, una conoscenza fuori dell’ordinario” (Cattabiani); insomma una visione che travalica i limiti corporali e sensibili.

Nelle Catacombe di Priscilla in Roma vi è un affresco della prima metà del II secolo d. C., dipinto sull’arco della cappella greca, che ritrae i tre  Re Magi in adorazione del Bambino. I  Re Magi, in S. Vitale (547 d. C. ) a Ravenna, in un mosaico sono rappresentati col costume tipico dei sacerdoti di Mithra, in epoca romana: pantaloni aderenti, mantello e berretto frigio. E così in S. Apollinare in Classe, sempre a Ravenna.

Nell’anno 614 d.C., i Persiani occuparono la Palestina e distrussero quasi tutte le chiese cristiane, meno la Basilica della Natività di Betlemme – fatta erigere da S. Elena -  perché, così si racconta, sulla facciata vi era un mosaico che raffigurava i Magi col tradizionale abito persiano. (Giovanni di Hildesheim, XIV secolo ).

Cominciano ad essere raffigurati come re solo dall’ XI secolo.

Gaspare, dall’armeno Gathaspar –“ forza-splendore del fuoco “ -, all’inizio è un giovane imberbe col vasetto dell’incenso in mano. Nel Medio Evo diventa un negro, secondo una tradizione che vuole i  Re Magi rappresentanti dei tre continenti allora conosciuti: Europa, Asia e Africa. In un suo quadro Rubens raffigura Gaspare con le fattezze di un negro.

Melchiorre, in ebraico “il mio re è luce”, è il vecchio con la barba bianca che offre l’oro.
Baldassarre, dall’assiro-babilonese “ Bel-shar-uzur “, “ Dio protegge il re “, è un uomo maturo che reca la mirra.

La pietra che secondo il racconto di Marco Polo Gesù dona ai Magi, può anche essere interpretata come un pezzo di cielo, visto che nella “Avesta” zoroastriana il cielo è indicato con la parola “Asman”, pietra, capace di evocare il sacro fuoco, luminoso come la stella divina: è quindi una teofania, come il fulmine di Zeus e il fuoco iranico. Così, quando parliamo di “illuminazione”, intendiamo in genere significare che Dio si manifesta nel nostro spirito, sua emanazione, come una grande luce. Ricordiamo, per inciso, che la volta della grotta del mitreo è fatta di pietre perché nella religione mitraica il cielo è considerato fatto di tale materiale.

Nel “Protovangelo di Giacomo”, anche questo apocrifo, del IV secolo d. C.,  la nascita di Gesù è così descritta:

Si fermarono (Giuseppe e la levatrice) nel luogo dove era la grotta ed ecco una nuvola luminosa adombrava la grotta… E subito la nuvola si dissipò dalla grotta e apparve una grande luce nella grotta, tanto che i nostri occhi non la potevano sopportare. Ma a poco a poco quella luce si attenuò finché non apparve il bambino e andò a prendere la poppa da sua madre Maria”.

In tutte le religioni orientali e anche nel paganesimo greco-romano, le teofanie avvengono sempre per mezzo di nubi splendenti e di luminosità abbaglianti.
In questo stesso Protovangelo di Giacomo viene detto ”… poiché arrivarono dei Magi”: ancora non si sa che essi sono re e sono tre; queste notizie compariranno come si è detto nel “Vangelo Armeno dell’Infanzia”, del V secolo.
Storia o leggenda, quella dei Re orientali, Magi, sacerdoti e sapienti, è rappresentativa di coloro che, nel neonato Cristo, riconoscono la nuova luce di speranza; I Magi seguendo  le loro antichissime profezie riconoscono e seguono la stella, la luce che li guiderà attraverso migliaia di chilometri a individuare il Salvatore, a Betlemme di Giudea, una realtà che vive da duemila anni e, come un fuoco divino, non può essere spenta.

Bibliografia

  • Marco Polo, Il Milione, a cura di M. Bellonci, ERI, 1982.
  • I Vangeli apocrifi, a cura di M. Craveri, Einaudi Tascabili, 1990.
  • Alfredo Cattabiani, I Magi, in Santi d’Italia, Rizzoli, 1993.
  • Guido Lopez, Milano in mano, Mursia, 2000.
  • Bibbia Emmaus, San Paolo, 1998.
  • Enciclopedia Europea, Garzanti.
  • Giovanni di Hildesheim, History of the three Kings, di H.S. Morris